CROSS COLLECTION
Collezioni a confronto
ADEL ABDESSEMED, MARIO AIRO’, GIORGIO ANDREOTTA CALO’, STEFANO ARIENTI, FRANCESCO ARENA, MICOL ASSAËL, ROSA BARBA, VANESSA BEECROFT, NÏEL BELOUFA, MONICA BONVICINI, GIUSEPPE CHIARI, MARIO DELLAVEDOVA, FLAVIO FAVELLI, ANNA FRANCESCHINI, GIUSEPPE GABELLONE, FRANCESCO GENNARI, ADAM GORDON, ESKO MÄNNIKKÖ, EVA MARISALDI, MARGHERITA MOSCARDINI, FRANCIS OFFMAN, GIULIO PAOLINI, SISSI, KIKI SMITH, NICO VASCELLARI, VEDOVAMAZZEI, LUCA VITONE
Mostra a cura di Leonardo Regano e Francesca Passerini
5 maggio – 18 settembre 2022
INAUGURAZIONE | Giovedì 5 maggio 2022, h 18-21
La Raccolta Lercaro è lieta di presentare la mostra Cross collection. Collezioni a confronto, a cura di Leonardo Regano e Francesca Passerini.
La mostra espone una trentina di opere di artisti contemporanei, tutte provenienti da una collezione privata che si è formata a partire dagli anni Novanta prendendo avvio da una passione cresciuta nel solco della curiosità e, passo dopo passo, alimentata dalla convinzione che l’epoca contemporanea abbia messaggi forti da esprimere, capaci di andare oltre la transitorietà del tempo e l’apparente instabilità dei linguaggi.
È così che questa collezione, nata da un intuito lungimirante e dal desiderio di investire soprattutto su artisti di giovane età, entra nelle sale espositive della Raccolta Lercaro e, per generosa volontà del collezionista, si presenta al pubblico fino al 18 settembre 2022 in una mostra che si articola sull’intero piano terra e su parte di quello interrato, in relazione visiva e concettuale con il percorso permanente del museo.
Il titolo che la definisce, infatti, fa riferimento a una delle tendenze più diffuse del collezionismo contemporaneo, ma già presente anche in quello messo in pratica dal Cardinale Giacomo Lercaro: andare al di là delle classificazioni, dei percorsi convenzionali e delle relazioni di facile evidenza per ricercare, attraverso l’accostamento inedito di opere apparentemente lontane, nuovi e più profondi significati.
Ciò che deriva da questi dialoghi inusuali è un’intensa rete di relazioni che si rivelano allo sguardo di chi osserva con modalità più o meno esplicite, immediatamente o gradualmente, ma in ogni caso capaci di allargare il respiro della riflessione aprendola a molteplici suggestioni. È così che, rompendo gli schemi delle classificazioni espositive e accostando opere diverse tra loro, si generano incroci tematici, visivi e concettuali inaspettati: tanto oggi, nella contemporanea collezione in mostra, quanto ieri, nel modernissimo operato di Lercaro.
La mostra si articola in cinque sezioni principali che affrontano tematiche specifiche: il corpo, il ritratto, la natura morta, i linguaggi e alcune riflessioni che toccano la sfera etica e sociale, con particolare riferimento al delicato aspetto delle migrazioni.
Il primo ambito – il corpo umano – si sviluppa a partire dall’ingresso dove, in rapporto con lo specchio-installazione che Nanda Vigo ha progettato per il museo nel 2016, il pubblico è accolto dal bellissimo nido-utero in filo intrecciato di Sissi e, poco oltre, dall’opera specchiante di Flavio Favelli, che restituisce all’osservatore il riflesso della propria immagine facendosi, al contempo, porta d’ingresso per un viaggio introspettivo.
Sulla soglia tra fisico e psichico si pone poi il delicato lavoro di Kiki Smith, Lying on Clouds, che su un grande, leggero velo di carta delinea l’evanescenza di un corpo femminile assorto nell’astrazione dei pensieri e simbolicamente galleggiante sulle nuvole. Accanto, l’opera di Vanessa Beecroft riporta l’accento sulla dimensione fisica, carnale, della vita umana, osservata nel dettaglio degli elementi corporei restituiti in una sintesi grafica che evoca suggestioni Art Brut e che trova relazione con il grande Circo di Ilario Rossi. Chiude il cerchio Adam Gordon: la sua sproporzionata figura femminile è accostata al grande Calvario di Vittorio Tavernari, opera storica della collezione Lercaro, e si fa interprete del dolore interiore, alienante e solitario, che coinvolge l’uomo contemporaneo, deformato e scavato interiormente da un dolore invisibile che, lentamente, intacca tutto, corpo e anima. Corrode, così come l’acqua della laguna di Venezia fa con i pali di ormeggio e di sostegno della Città: è da lì che proviene il modello in legno da cui Giorgio Andreotta Calò trae una fusione in bronzo che eterna la traccia della drammatica precarietà della materia.
Dal corpo l’attenzione si orienta sempre più verso l’analisi di sé e del proprio universo interiore, avvalendosi delle possibilità offerte dal ritratto: Francesco Gennari, Vedovamazzei, Esko Männikkö restituiscono visioni e percezioni differenti del sé che si fanno portavoce delle diversità di pensiero e di approccio alla vita, tutte ugualmente portatrici di significato.
Un ulteriore passaggio nella riflessione sulle potenzialità espressive dell’uomo è offerto dal tema della comunicazione che, implicitamente, racchiude quello centrale della relazione. Nïel Beloufa lo affronta attraverso un’installazione che unifica e coordina diversi linguaggi, dalla parola narrata e udita all’immagine.
Rosa Barba utilizza migliaia di lettere tipografiche per creare a stampa, sul candore del lino, un cerchio imperfetto che simboleggia l’inesauribilità della conoscenza e si fa generatore di nuove dimensioni semantiche riflettendo contemporaneamente sul processo creativo che porta alla genesi dell’opera d’arte.
La stessa tematica, sebbene affrontata con modalità diverse, appartiene anche alla grande opera di Giulio Paolini: Vis-à-Vis (Amazzone) (2), il cui titolo si connette bene al concetto di confronto/connessione alla base della mostra, propone una riflessione sullo sguardo invitando ciascuno a interrogarsi sul proprio modo di stare nella realtà e di vederla. Invito ripreso e sviluppato dall’opera di Eva Marisaldi, centrata sulla visione interpolata con gli elementi apportati da interferenze e filtri, anche culturali. Mentre all’opera Tuono di Mario Airò è affidata una sorta di magia visiva che, con delicata leggerezza, proietta lo sguardo in una dimensione visiva fatta di pura essenzialità e capace di dare origine a una nuova coscienza.
L’individuo, infine, cede il passo alla dimensione collettiva che allarga il proprio respiro fino a comprendere lo sguardo sulla natura.
La prima area tematica è affrontata attraverso le opere “sociali” di Margherita Moscardini, Luca Vitone, Francis Offman, Mario Dellavedova, Francesco Arena. Il filo rosso comune a tutti sono i temi delle migrazioni e della sopraffazione dell’uomo sull’uomo, ma l’opera di Francesco Arena presenta una dimensione semantica ulteriore che la pone all’interno di una relazione speciale con la Città di Bologna. Attraverso un grande buco creato nel marmo attraverso la costante, reiterata scrittura di nomi, racconta il vuoto doloroso generato dall’assenza di tutti coloro che hanno perso la vita il 2 agosto 1980 nella strage alla stazione dei treni di Bologna. Un marmo apparentemente semplice ma esplosivo, carico di significati assordanti.
Al centro della sala, poi, si apre il video di Adel Abdessemed in cui un ragazzo di colore viene lavato con il latte: potentissima immagine di sopraffazione e non accettazione delle diversità, l’opera è posta simbolicamente in rapporto con la Croce di colore creata nel 2010 da Ettore Spalletti per la Raccolta Lercaro. Due immagini entrambe giocate sul colore che, in base alla capacità di accoglienza del cuore, assume significati di esclusione o inclusione: in Spalletti, infatti, le cromie si fanno mediatrici della relazione tra lo sguardo di chi osserva e il Tu rappresentato dalla Croce, mentre in Abdessemed divengono motivo di discriminazione.
L’ultima sezione, infine, esplicita il rapporto con l’ambiente circostante, difficilmente giocato solo sull’accoglienza e sull’accettazione della natura, ma da sempre caratterizzato dal desiderio dell’uomo di intervenire su di essa, interpolandola, governandola, gestendola secondo il proprio sentire. Oggi, attraverso le possibilità offerte dalla tecnologia, l’artista si fa interprete espressivo di questo desiderio. Anna Franceschini e Stefano Arienti ricorrono alle potenzialità della fotografia: la prima per dare vita a una contemporanea surreale natura morta, immersa in atmosfere ovattate e sospese; il secondo per ricomporre l’immagine attraverso l’intervento umano, affidato alla gestualità rituale compiuta dalla mano che muove ago e filo. Monica Bonvicini attinge alla fotografia per tradurla, con la liquidità potente dell’acquerello, in una grande opera capace di raccontare allo sguardo come la violenza di un uragano possa trasformare un paesaggio urbano in desolante natura morta. E a sottolineare questo confine sottile tra i generi entrano in gioco le opere di Giorgio Morandi, Filippo De Pisis e Giuseppe Santomaso appartenenti alla Raccolta Lercaro.
Giuseppe Gabellone propone un’intermediazione tra il mondo naturale e quello umano mediante l’uso della resina epossidica mentre Nico Vascellari e Micol Assael giocano sull’antropizzazione della natura, in buona parte rimodulata attraverso l’ingegno umano. A rimarcare una volta di più come il rapporto tra uomo e natura sia, da sempre, uno dei temi fondamentali per l’arte perché specchio del pensiero sul valore della vita. Sempre che l’interrogativo posto da Giuseppe Chiari sia valido e all’arte venga ancora riconosciuto un potere catartico per l’esistenza: “Se questa è arte tu sei pazzo”. E si sa, la pazzia può cambiare il mondo.